GARDI HUTTER al Teatro Due di Parma
QUANTO FA RIDERE FALLIRE!
Intervista a Gardi Hutter
Teatro Festival Parma 2025

ph. Adriano Heitmann
Il clown accoglie in sé il ridicolo dell’essere umano, la sua fallibilità, la sua goffaggine, la sua limitatezza, la sua stupidità, e la restituisce in modo esagerato al pubblico che, rispecchiandosi, ride di sé stesso, forse senza saperlo. La comicità ha a che fare con la libertà: ridere, soprattutto di sé, significa, superare i propri limiti e accettarli; a dirlo è Gardi Hutter, attrice e clown svizzera, una delle grandi maestre del teatro comico e fisico. Più di quarant’anni di carriera all’insegna di una poetica tanto speciale quanto semplice, un viaggio nella condizione umana a partire dal corpo, dal gesto, dal ritmo e senza parole, al limite i suoni buffi del mimo, quel grammelot che non ha bisogno di traduzioni.
Il 27 giugno in Arena Shakespeare Gardi Hutter sarà Giovanna D’ArpPo, protagonista eponima del suo primo spettacolo creato nel 1981 dopo averlo presentato alla Biennale di Venezia che il direttore artistico Willem Dafoe quest’anno ha dedicato al corpo.
Avere un invito dalla Biennale di Venezia è emozionante – racconta l’artista – se sei un clown però lo è ancora di più. Quello del clown certamente è teatro fisico, ma la comicità, e in generale la commedia, è considerata un po’ la sorellina sporca della tragedia, che rappresenta la vera arte. Il ridere è snobbato. Per molti far ridere non è fare arte. L’arte deve essere una cosa seria, deve essere difficile da capire, un’esperienza d’élite che ti distingue dalla massa; invece il ridere unisce agli altri e rende tutti simili.
La sua formazione è teatrale, prima all’Accademia di Teatro a Zurigo e poi al CRT – Centro di ricerca di teatro di Milano. A un certo punto però c’è stato uno cambio. Come si diventa clown?
Sono cresciuta al di fuori dell’ambiente dello spettacolo, non sono mai stata a teatro da piccola. Questa vocazione artistica è emersa intorno ai vent’anni quando ho cominciato ad occuparmi del mondo dal punto di vista sociale e politico, la cultura è diventata subito un mezzo cruciale per me, nel quale era possibile mettere molto del proprio impegno, divertendosi. Con la scuola ho capito che come attrice non sarei andata lontano, tutto quello che mi sarebbe piaciuto portare sul palco ancora non esisteva: per le giovani attrici c’erano ruoli pallidi, dovevano essere belle e condannate a morti precoci. Sul comico c’era poco o niente, così pure nel teatro contemporaneo. Ho divorato invano scaffali di libri per trovare figure comiche che non deridessero le donne rimpicciolendole o facendole sembrare cretine, alla ricerca di una comicità che esaltasse anche la grandezza del femminile, suscitando il riso, dove le donne non sono vittime, ma protagoniste, artefici del gioco. Il clown fallisce sempre, ma con grandezza.
A Milano con il Teatro Ingenuo insieme a Ferruccio Cainero e Giovanni De Lucia abbiamo messo in scena un Aristofane, il CRT ci ha prodotto I cavalieri in versione clown, da un’idea di Mario Gonzales; ovviamente nel testo i ruoli erano tutti maschili. Protagonisti due schiavi maltrattati da tutti. Uno di questi è stato trasformato in donna. Era il più sfortunato, l’ultimo nella scala delle “sofferenze” ed è diventato subito il più amato dal pubblico, una scoperta che ha sorpreso un po’ tutti. Il testo probabilmente funzionava perché era scritto per un uomo. Nelle parti scritte per donne, al di là del fatto che o sono in cucina o piangono, cambia subito lo spirito.
È nata così Giovanna D’ArpPo?
L’intuizione base e la forma rotonda di questo personaggio sono germogliati ne I cavalieri di Aristofane, dove tutti i personaggi erano deformati buffonescamente, ma ci sono voluti tre anni di lavoro per sviluppare Giovanna. La storia parte dall’idea che i tre angeli che parlano a Giovanna D’Arco sbagliano indirizzo e arrivano da una Giovanna che è troppo grassa per entrare nell’armatura della Pulzella D’Orleans e troppo stupida per capire il messaggio. Nel nome Giovanna/Gianna è contenuta la radice di Gianni/Zanni, l’origine delle figure comiche della commedia dell’arte che troviamo nelle tradizioni comiche di tutto il mondo con i nomi Hans, Jan, John… Ho chiesto a molti studiosi di fornirmi una genealogia dei personaggi comici, ma è molto difficile da ottenere, le esperienze sono molto intrecciate. I comici hanno cominciato a viaggiare già prima del ‘500, e passando da Londra a San Pietroburgo, da Roma a Parigi, si sono conosciuti e copiati, così Zanni, buffone e clown si sono molto imparentati.
Fra l’altro, comico oggi è qualcuno che fa ridere, una volta invece “i comici” erano gli attori professionisti che si volevano distinguere dai saltimbanchi di piazza.
Cos’è comico oggi? Quale è il segreto di un personaggio come Giovanna, che non invecchia?
Giovanna D’ArpPo non parla, questa caratteristica la colloca fuori dal tempo. Non invecchia forse proprio per questo. La parola invece rischia di esporre il comico al logoramento, battute che facevano ridere quarant’anni fa oggi probabilmente suonano come freddure, per un cabarettista non è possibile ripetere le stesse cose… Le emozioni invece cambiano lentamente – o forse non cambiano proprio. Ed è su queste che io lavoro.
Cosa significa essere una clown donna?
Clown uomini e clown donne raccontano cose diverse, io racconto storie femminili. Sono stata lavandaia, sarta, segretaria…Mi hanno sempre chiesto se fossero scelte politiche, ma la risposta è no, è biologico, sono donna e ovviamente racconto storie di donne, storie che conosco. Quando ho debuttato con Giovanna D’ArpPo, 44 anni fa, la mia proposta era nuova e inconsueta. Come dicevo prima, mancava materiale comico per le donne. Nessuna conquistava ancora palchi internazionali. La mia generazione, grazie all’autonomia professionale e finanziaria, ha avuto il privilegio di essere la prima a poterlo fare: inventiamo e scriviamo noi il nostro mondo!
La società degli anni ‘80 era pronta, anzi, c’era bisogno di ridere anche delle donne, dopo tanti anni di lotte femministe.
Il suo lavoro dunque uno spessore politico ce l’ha…
Io non parlo di politica in senso stretto, ma tratto la politica esistenziale, la condizione umana, evidenzio anche la stupidità degli umani che per esempio stanno distruggendo la natura che li nutre. A far ridere non è l’eroe, è l’anti-eroe, è quello che non ce la fa. Quanto fa ridere il non riuscire, il fallire! Inoltre, il clown non è “moralista”, non è un buon esempio, è lontano dall’ideale, si può dire qualsiasi cosa, essere scorretti e cattivi, ma sempre con il tacito accordo che faccia ridere… come accadeva al buffone di corte al quale era concesso dire qualsiasi cosa, a patto che facesse ridere, altrimenti…Kaputt! Le donne non avevano il permesso di far ridere perché questo implicava essere libere, autonome, imperfette, fallire; la goffaggine, l’errore e l’insuccesso connaturati al comico, allontanano l’immagine della donna dalla perfezione e dalla bellezza che per convenzione le si attribuisce, distorce un preconcetto, può ferire, può attaccare, smascherare…
Quale è il compito di un clown?
Far ridere ma con spessore, con profondità. Bisogna far commuovere.
Il clown guarda ai nostri limiti, li esagera fino al punto di evidenziarne la natura intrinsecamente comica. E questo fa ridere tutti, uomini, donne, gente di qualsiasi segno politico.
Come avviene la trasmissione dei saperi, da clown a clown?
Nei miei workshop invito gli allievi a non cercare gag, ma indagare le catastrofi e problemi irrisolvibili.
Qualcuno ha detto che il difficile non è tanto diventare clown, ma restarlo. Le lunghe carriere sono rare e impegnative. Perché sarà l’ultima rappresentazione di Giovanna d’ArpPo?
Voglio togliere Giovanna dal concreto, dai mestieri ed entrare nell’atmosfera, nel nulla, o farmi un po’ di spazio. Tornerò in scena con Giovanna dopo una metamorfosi, dopo una ulteriore distillazione. Ho fatto 9 spettacoli e, se li osservo nel profondo, erano riflessioni sulla morte, ora voglio fare qualcosa sulla nascita, forse perché ora che sono vecchia mi affascina di più il divenire che il finire….
16 giugno 2025
Intervista a cura di Michela Astri
www.teatrodue.org